Climate fiction

Negli ultimi quindici anni, il cambiamento climatico è passato da tema specialistico a questione centrale del dibattito pubblico. E ha ridefinito in profondità il nostro rapporto con il tempo, lo spazio e il futuro.

In parallelo, anche la narrativa ha cominciato a interrogarsi su come rappresentare una crisi che sfida i tradizionali strumenti del racconto. Non un evento improvviso e spettacolare, ma un processo graduale, cumulativo, spesso invisibile. Un evento che incide sulle vite in modi discontinui e asimmetrici.

In questo contesto si è sviluppata la climate fiction – o cli-fi. Si tratta di una forma di narrazione che mette (più o meno) al centro l’impatto ambientale e climatico sugli individui, sulle comunità e sulle strutture sociali.

Climate fiction: una fantascienza ecologista?

L’espressione «climate fiction» si è affermata nel mondo anglofono a partire dagli anni 2000. Ma le sue radici possono essere rintracciate in certa fantascienza ecologista degli anni Settanta.

Tuttavia, a differenza delle visioni future catastrofiche tipiche del genere post-apocalittico, la cli-fi contemporanea tende a collocare l’urgenza climatica nel presente o in un futuro molto prossimo. E mette in scena forme di collasso lento, disuguaglianze ambientali e sociali, migrazioni forzate, crisi alimentari ed energetiche.

Questa narrativa sta conoscendo oggi una nuova fioritura. Gli effetti del cambiamento climatico sono ormai percepibili nella quotidianità di molte persone. E cresce la consapevolezza che la crisi ecologica non può più essere separata da altre fratture: sociali, razziali, economiche.

Il risultato è un panorama narrativo eterogeneo, in cui convivono distopia e realismo, speculazione politica e introspezione psicologica, dimensione collettiva e sguardo intimo.

L’altro e l’altrove dopo la catastrofe

Una delle forme più riconoscibili di climate fiction è quella che immagina scenari successivi a eventi climatici estremi, in cui la civiltà come la conosciamo è stata alterata o disgregata.

In queste storie, il futuro non è necessariamente remoto, ma piuttosto un’estensione del nostro presente.

Mal di terra di Nikolaj Schultz, edito da wetlands, esplora un mondo in cui il cambiamento climatico ha trasformato radicalmente il paesaggio e la società, portando a nuove forme di conflitto e sopravvivenza.

Il romanzo dipinge un futuro in cui le risorse sono scarse e la lotta per la sopravvivenza diventa una realtà quotidiana.

La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile di Amitav Ghosh, edito da Neri Pozza, analizza come la nostra incapacità di immaginare pienamente le conseguenze del cambiamento climatico ci renda ciechi di fronte alla crisi.

Ghosh esplora le implicazioni culturali e sociali della crisi climatica, mettendo in discussione le nostre narrazioni e i nostri valori.

L’anti-epica del disastro e il racconto del quotidiano

Una tendenza sempre più diffusa nella cli-fi recente è quella che evita l’epica del disastro per concentrarsi sulle trasformazioni quotidiane.

climate fiction

AFTER MAN. Una zoologia del futuro di Dougal Dixon, edito da Moscabianca Edizioni, pur non essendo un romanzo nel senso tradizionale, si distingue per la sua speculazione scientifica e immaginativa sull’evoluzione della vita sulla Terra dopo l’estinzione dell’umanità.

Con illustrazioni dettagliate e descrizioni accurate, Dixon presenta un mondo in cui nuove specie si sono evolute per riempire il vuoto lasciato dagli esseri umani. Un monito potente sulla fragilità della nostra esistenza e sulle conseguenze a lungo termine delle nostre azioni sull’ambiente.

Climate fiction: crisi climatica e ingiustizia sociale

Molte autrici e autori contemporanei scelgono di raccontare la crisi climatica come processo che colpisce in modo diseguale popolazioni, zone del mondo e ceti socio-anagrafici diversi.

And So I Roar (Hodder & Stoughton, 2024) della scrittrice nigeriana Abi Daré è ad esempio il romanzo vincitore della prima edizione del Climate Fiction Prize, il riconoscimento letterario nato per premiare proprio quelle opere che mettono al centro della narrazione il cambiamento climatico.

Pubblicato in Italia da Nord nella traduzione di Elisa Banfi, con il titolo Un grido di luce, il romanzo – ambientato nelle aree rurali della Nigeria – racconta l’impatto del collasso ambientale sulla vita delle donne e delle ragazze, evidenziando le conseguenze sociali della crisi climatica nei contesti più vulnerabili.

Anche The Morningside di Téa Obreht (Random House, 2024), pur mescolando elementi di realismo magico e soprannaturale, si inserisce in questo filone. L’ambientazione in una città costiera semi-sommersa da eventi climatici estremi, l’instabilità del territorio e l’atmosfera di precarietà diffusa delineano uno scenario che agisce sia come contesto narrativo che come metafora stessa della disuguaglianza.

Esiste una climate fiction italiana?

Anche in Italia si sta consolidando un interesse crescente per la climate fiction, con autori e autrici che declinano le emergenze ambientali attraverso generi e linguaggi narrativi differenti.

Tra i testi più rappresentativi compare Qualcosa, là fuori di Bruno Arpaia (Guanda, 2016), che immagina un’Europa sconvolta dalla desertificazione e racconta una migrazione climatica da sud a nord, proiettando nella finzione dinamiche già in atto.

Ma già dieci anni prima Laura Pugno inscenava in Sirene (Marsilio, 2007) la fine del mondo degli umani, costretti a vivere al buio e in città subacquee – perché la luce è diventata nemica, provoca il «cancro nero» –, dominati dalle mafie internazionali, sfiniti dal consumo di ogni risorsa planetaria.

In anni più recenti, nel graphic novel Troppo facile amarti in vacanza (Bao Publishing, 2023) Giacomo Bevilacqua racconta l’apocalisse mentre sta avvenendo, attraverso il lungo viaggio a piedi, da sud a nord, di una ragazza e del suo cane, in un’Italia via via sempre più sommersa dall’acqua.

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