Nel cuore della letteratura contemporanea, là dove una volta batteva la pulsazione metropolitana del moderno, oggi si riscopre un’altra geografia. Quella dei paesi, delle periferie, delle strade sterrate, delle comunità decentrate.
La provincia, storicamente relegata a sfondo o antitesi della grande città, diventa sempre più il luogo dove la scrittura cerca verità, profondità, e un ritmo alternativo a quello del tempo urbano.
La provincia è tornata al centro della letteratura
Non si tratta più della nostalgia folkloristica di un passato rurale, né della denuncia sociologica delle marginalità. Oggi la provincia è un espediente narrativo. Un luogo-limite in cui osservare da vicino le crepe della società, i silenzi generazionali, i rituali che resistono al presente.
Scrittori italiani come Donatella Di Pietrantonio, Paolo Cognetti, Giorgio Falco o Romana Petri hanno posto al centro delle loro opere la tensione fra isolamento e radicamento, fra lingua e dialetto, fra appartenenza e fuga.
Questa nuova centralità della provincia sembra rispondere a un bisogno culturale profondo: de-urbanizzare lo sguardo, riportare la narrazione in luoghi non saturati d’immaginario.
In un tempo dominato dalla visibilità, dalla velocità e dalla sovraesposizione digitale, la provincia diventa uno spazio di resistenza letteraria. Un luogo dove ancora si può sentire il peso delle cose, dei gesti e delle parole.
Nella provincia si trovano storie invisibili altrove
In Lessico famigliare, Natalia Ginzburg scriveva: «Le cose ci parlano, se le sappiamo ascoltare. Ma non gridano mai».1
Ecco, la scrittura che torna in provincia cerca proprio quella voce bassa, quella materia apparentemente muta che solo uno sguardo lento può decifrare.
Anche al di fuori dell’Italia, si assiste a un movimento simile. Il premio Nobel Annie Ernaux ha fatto della provincia francese non solo lo sfondo ma il codice stesso della propria memoria.
Gli Stati Uniti di Jesmyn Ward, invece, raccontano il Sud come spazio letterario e sociale di frattura e dignità. La provincia non è più una condizione minore, ma una forma del mondo, un’alternativa epistemologica al pensiero globale.
In Il mestiere di vivere, Cesare Pavese osservava: «Ogni paese è una patria di parole. Basta saperle trovare».2
Questa consapevolezza è tornata ad animare molti scrittori contemporanei, che proprio nel linguaggio cercano un ancoraggio profondo a luoghi che sembravano perduti o secondari.
Scrivere la provincia oggi significa riscrivere il centro. Significa riconoscere che ogni margine ha il suo sguardo, ogni silenzio ha una voce, e ogni luogo dimenticato può diventare il cuore narrativo di un mondo nuovo.
- Natalia Ginzburg, Lessico famigliare, Einaudi, 1963. ↩︎
- Cesare Pavese, Il mestiere di vivere. Diario 1935-1950, Einaudi, 1952. ↩︎